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Alla ricerca di un impiego - l'età incide meno

La ricerca di lavoro per un ultracinquantenne, non dura più così a lungo: è questo il risultato un po' sorprendente di una ricerca di mercato della società von Rundstedt.

Hai cinquanta anni o più? Avrai quindi grossi problemi a trovare un nuovo posto di lavoro. Oggigiorno questo atteggiamento disincantante viene considerato normale sul mercato del lavoro.
Ma magari non vale più così rigorosamente: “La categoria degli ultracinquantenni continua a essere un gruppo a rischio, tuttavia non è un gruppo problematico”, constata la società internazionale di outplacement von Rundstedt che ha una filiale anche a Lugano.
Commentando la sua statistica del 2017, la società rileva i fatti seguenti: quando valutava la durata della ricerca di un posto di lavoro per gruppi di età, ha osservato che la durata della ricerca degli ultracinquantenni è di 7,9 mesi (2016: 8,3 mesi), e quindi non è più così superiore alla media di riferimento di tutti i gruppi di età, ovvero di 6,3 mesi.
Per contro, la durata di ricerca nella fascia d’età tra 30 e 40 anni è aumentata, passando a 6,5 mesi (2016: 6,2 mesi). E questo implica che non è di molto inferiore alla durata di ricerca degli ultracinquantenni.

Quanta formazione?

La statistica di von Rundstedt si appoggia sui dati delle aziende che lavorano con la società di outplacement. “Queste aziende esprimono una responsabilità sociale particolare. Quindi il campione delle persone di più di 50 anni che vediamo, probabilmente non è sufficientemente rappresentativo in relazione alle persone in disoccupazione in tutta la Svizzera”, spiega Marco Costantini, partner luganese di von Rundstedt.
Secondo la statistica di von Rundstedt non viene evidenziata una differenza profonda in relazione all'età; la disparità nel valore sul mercato del lavoro è data soprattutto da quanta formazione una persona ha fatto e quanti posti di lavoro ha cambiato.

Cambiare spesso i posti di lavoro

Quindi cos’è meglio per il curriculum, pochi o molti posti? Dipende dal settore e dalla funzione, dice Costantini. Ci sono dei settori legati alla vendita in cui avere un'esperienza maggiore e magari intrasettoriale diventa un plus.
“Questo perché possiedi un portafolio di clienti più ampio e conosci meglio la concorrenza, e quindi avendo cambiato più posti di lavoro, il tuo valore nel mercato è più alto”, ribadisce il rappresentante di von Rundstedt.
A questo si aggiunge il fattore linguistico che in Svizzera evidentemente è molto importante. Se emergono degli ultracinquantenni con profili difficili è spesso anche per il fatto che non hanno mai vissuto fuori della propria area linguistica. Si tratta quindi di persone che parlano una sola lingua – nonostante spesso abbiano imparato a scuola un’altra lingua, rimasta poi inutilizzata professionalmente.
Se oltre a ciò queste persone hanno cambiato solo due posti di lavoro nell’arco di 30 anni, il problema si accentua ulteriormente. Una persona con un profilo simile difficilmente troverà un impiego parificabile a quello passato. In fine, gli over cinquanta tendono ad avere più difficoltà a mettersi nel “mood” giusto per frequentare dei corsi di formazione continua se già non la facevano in passato durante la propria carriera, dice Costantini.

Il networking aiuta molto

Allora cosa devono fare gli over 50 per mantenere il loro valore di mercato? Quello che il partner luganese di von Rundstedt può immaginarsi è di consigliare ai quarantenni di non arrivare ad essere dei cinquantenni senza formazione aggiuntiva.
Inoltre una persona deve incrementare la propria rete di relazioni che la potrebbe portare in futuro a un nuovo posto di lavoro. Secondo le esperienze di Costantini, l’ottanta per cento delle persone che ritrovano impiego ci sono riuscite grazie al proprio network o a quello di von Rundstedt. Quindi la messa in rete è veramente un’attività importantissima.
Molti ultracinquantenni pensano che proprio la digitalizzazione sia un pericolo per il loro valore sul mercato del lavoro. “Penso che il tema della digitalizzazione sia stato forse un po' troppo drammatizzato nel senso che i processi del cambiamento sono comunque spesso lenti”, dice Costantini.
Ma la digitalizzazione in alcuni processi lavorativi sarà certamente grande e obbligherà le persone a riqualificarsi. Dall’altra parte deve sempre esserci qualcuno che conosce i processi automatizzati per poterli controllare.

Meno vendita “face to face”

Tra venti anni avremo sicuramente più automazione, ribadisce Costantini. Quindi nel settore degli impiegati del commercio saranno richieste delle competenze diverse da oggi.
Di addetti della vendita nei negozi, per esempio, ce ne saranno sempre meno perché il mercato si sta spostando sempre di più su piattaforme online. Ci saranno meno superfici di vendita, serviranno meno apprendisti di vendita e diminuirà il numero del personale dedicato alla vendita “face to face”.
Ma ci sarà il bisogno di persone che hanno delle competenze legate all’e-commerce, spiega Marco Costantini. “Quindi le stesse persone che formiamo oggi per vendere "face to face", domani verranno formate per operare online.”

Alla ricerca di un impiego – hai il profilo giusto?

Marco Costantini, Lei è partner luganese della società di outplacement von Rundstedt che parla del preoccupante fenomeno dello “zero gap” sul mercato del lavoro. Di che cosa si tratta?

Le statistiche di von Rundstedt mostrano che i datori di lavoro durante le fasi di ricerca e selezione non consentono variazioni rispetto al profilo richiesto dei candidati. Piuttosto cercano il profilo che corrisponde praticamente al cento per cento; questo vuol dire che il “gap”, cioè la differenza tra il profilo desiderato e quelli reali, deve essere attorno a zero.

Ma questo atteggiamento sembra troppo esigente. Alla fine, non crea ulteriori problemi?

Il problema risiede in due aspetti. I tempi del recruitment sono innanzi tutto brevissimi – si parla di due settimane in media – e quindi il processo di selezione è estremamente rapido e preciso. In seconda battuta, lo zero gap deriva anche da una selezione scrupolosa dei criteri di scelta per la scrematura iniziale delle candidature che in alcuni casi sono centinaia per una singola posizione aperta.

I criteri di selezione davvero non permettono quasi nessuna divergenza?

Diciamolo così: l’ottanta per cento della “job description” deve corrispondere al curriculum di una persona che selezionerò come collaboratore potenziale. Poi si aggiunge questa piccola parte di venti per cento che è potenzialmente migliorabile o acquisibile dopo di aver incominciato a lavorare presso una nuova azienda.

Anche questo sembra essere abbastanza duro.

Il concetto dello zero gap è duro, ma viene applicato regolarmente, le persone devono quindi tener conto di questo fatto. Dall’altra parte ci sono i cosiddetti “Quereinsteiger”, termine tedesco relativo alle persone che fanno carriera in un settore diverso da quello formativamente originario. Queste persone dispongono di competenze metodiche trasversali a più professioni. Posso citare l’esempio dell'ingegnere o dell’architetto: entrambi hanno ottime competenze nella gestione di progetti e possono tranquillamente gestire progetti molto complessi anche in ambiti non prettamente legati alla costruzione.

E nell’ambito degli impiegati del commercio, come si presenta la situazione in quanto allo zero gap?

È molto soggettivo e spesso dipende dal livello tecnologico del proprio datore di lavoro. In generale, per un impiegato di commercio il discorso dello zero gap è legato prevalentemente alle competenze distintive tecniche.

Per esempio?

Le persone giuste ci sono per certo, ma per certo sarà anche utile mantenere alta la guardia e formare le persone in funzione dei cambiamenti che i mercati richiederanno, potenzialmente anticipando questi cambiamenti e non rincorrendoli. Di fondo si tratta semplicemente di fare innovazione anche nel settore degli impiegati del commercio.